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Sindrome Metabolica: rischi clinici e strategie nutrizionali

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La sindrome metabolica rappresenta, di fatto, una delle principali sfide del nostro secolo con implicazioni molto significative per la pratica clinica di tutti coloro che si occupano di nutrizione. In questo articolo esploriamo l’epidemiologia, i fattori di rischio, le complicanze e alcune strategie di prevenzione e trattamento di questa condizione complessa

Epidemiologia e Fattori di Rischio

La sindrome metabolica ha raggiunto ormai proporzioni epidemiche: la sua prevalenza è stimata a circa il 20-25% nella popolazione generale e questo è un dato molto allarmante considerato le complicazioni (talvolta gravi) associate a questa condizione (ref)

In uno studio pubblicato su JAMA relativo alla prevalenza della Sindrome Metabolica in adulti americani si evidenzia che questa può aumentare con l’età raggiungendo il 43,5% nei soggetti di 60-69 anni e il 42% nei soggetti con più di 70 anni.
Dal punto di vista geografico la prevalenza media tra diverse popolazioni europee è stimata intorno al 24,3% ma con significative differenze regionali (ref). Uno studio infine ha mostrato differenze nella prevalenza di sindrome metabolica tra gruppi etnici diversi negli USA con la prevalenza più alta tra gli ispanici (35,4%) e più bassa tra i neri non ispanici (32,7%).

I principali fattori di rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica includono:

  • Sovrappeso e Obesità: l’eccesso di grasso corporeo con particolare riferimento al grasso viscerale è il fattore di rischio, di fatto, più significativo;
  • Sedentarietà: uno stile di vita inattivo contribuisce chiaramente all’accumulo di grasso, allo sviluppo di insulino-resistenza e di Diabete di tipo 2.
  • Dieta Inadeguata: la tendenza all’alimentazione ipercalorica e ricca di grassi saturi favorisce lo sviluppo della sindrome metabolica.
  • Età: il rischio di sindrome metabolica aumenta con l’invecchiamento probabilmente a causa di cambiamenti metabolici e ormonali fisiologici.
  • Predisposizione Genetica: alcuni individui possono avere una maggiore suscettibilità genetica allo sviluppo di sindrome metabolica.

Definizione e Criteri Diagnostici

Nel 2001 il National Cholesterol Education Program (NECP) Adult Treatment Panel III (ATP III) ha fornito una definizione di sindrome metabolica che è stata poi aggiornata nel 2005 dall’American Heart Association e dal National Heart Lung and Blood Institute. Secondo tale definizione la sindrome metabolica è la condizione patologica che si verifica quando sono presenti 3 dei seguenti 5 criteri:

  1. Circonferenza della vita superiore a 102 cm per gli uomini e superiore a 88 cm per le donne.
  2. Pressione sanguigna superiore a 130/85 mmHg;
  3. Livello di Trigliceridi a digiuno superiore a 150 mg/dL;
  4. HDL a digiuno inferiore a 40 mg/dL per gli uomini e 50 mg/dL per le donne;
  5. Glicemia a digiuno superiore a 100 mg/dL;

E’ importante sottolineare che questi criteri possono variare leggermente tra le diverse linee guida internazionali. In effetti la definizione fornita dalla WHO nel 1999 prevedeva criteri diversi tra cui la presenza di un Diabete di Tipo 2 o Insulino-resistenza e 2 o più delle seguenti alterazioni:

  1. Livello di Trigliceridi a digiuno uguale o superiore a 150 mg/dL;
  2. HDL a digiuno inferiore a 35 mg/dL per gli uomini e 40 mg/dL per le donne;
  3. Pressione sanguigna uguale o superiore a 140/90 mmHg;
  4. Rapporto Vita / Fianchi superiore a 0.90 per gli uomini e superiore a 0.85 per le donne oppure un BMI superiore a 30.
  5. Microalbuminuria con una escrezione urinaria di albumina superiore a 20 microgrammi/min oppure un rapporto Albumina / Creatinina superiore a 30 mg/g.

Nel 2005 una leggermente diversa definizione è stata fornita dall’International Diabetes Federation (IDF) che definiva la sindrome metabolica quella condizione patologica in cui fossero presenti obesità addominale e 2 o più delle seguenti alterazioni:

  1. Glicemia a digiuno superiore o uguale a 100 mg/dL;
  2. Livello di Trigliceridi a digiuno uguale o superiore a 150 mg/dL;
  3. HDL a digiuno inferiore a 40 mg/dL per gli uomini e inferiore a 50 mg/dL per le femmine;
  4. Pressione sanguigna superiore o uguale a 135/85 mmHg;

Brevi cenni di Fisiopatologia della Sindrome Metabolica

Nella fisiopatologia della Sindrome Metabolica giocano un ruolo importante alcune condizioni cliniche specifiche che causano il mantenimento della sindrome metabolica nei soggetti affetti. Parliamo ad esempio di: insulinoresistenza, obesità viscerale e dislipidemia.

L’insulinoresistenza, come sappiamo, provoca una riduzione della secrezione insulinica che si aggrava progressivamente nel tempo peggiorando il quadro clinico. In effetti l’iperglicemia cronica provocata dall’insulino-resistenza aumenta lo stress ossidativo a carico delle beta-cellule pancreatiche causandone la morte progressiva per apoptosi.

L’insulinoresistenza causa anche una dislipidemia aterogena in cui l’adipocita è indotto a rilasciare in circolo acidi grassi liberi (NEFA) determinando così un aumento dei livelli di trigliceridi VLDL, una riduzione del livello di colesterolo HDL e un aumento di particelle LDL altamente aterogene.

L’insulinoresistenza è in grado di causare ipertensione arteriosa tramite diversi meccanismi in cui è implicata la sodio-ritenzione attraverso un aumento del riassorbimento di sodio e acqua con aumento della volemia. Questo attiva il sistema nervoso simpatico che aumenta il livello delle catecolamine circolanti con conseguente vasocostrizione da ridotta biodisponibilità di Ossido Nitrico (NO) favorendo aterosclerosi e trombosi.

L’obesità viscerale si associa a insulino-resistenza sia epatica che periferica. Questa combinazione di condizioni sembra essere mediato da un’eccessiva produzione di glicerolo e di acidi grassi liberi. E’ ormai noto inoltre che gli adipociti sono in grado di rilasciare alcune sostanze proinfiammatorie (TNF-alfa, IL-6) che hanno un ruolo importante nella regolazione del segnale insulinico (Ref)

Complicanze e Rischio Clinico

Uno dei principali rischi clinici della Sindrome Metabolica è l’evoluzione della patologia verso il Diabete di Tipo 2: il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 è significativamente più alto nei pazienti con sindrome metabolica. Come abbiamo già detto il meccanismo che collega la sindrome metabolica con il diabete di tipo 2 è principalmente l’insulinoresistenza che si sviluppa principalmente nel muscolo, nel fegato e nel tessuto adiposo (ref). Nel muscolo, in particolare, porta ad una ridotta captazione del glucosio contribuendo al mantenimento dell’iperglicemia postprandiale. Nel fegato l’insulinoresistenza aumenta la produzione di glucosio contribuendo all’iperglicemia a digiuno e nel Tessuto Adiposo porta ad una lipolisi incontrollata aumentando i livelli di acidi grassi liberi circolanti come già indicato poco sopra.

Un altro rischio di particolare importanza legato alla sindrome metabolica è lo sviluppo di malattie cardiovascolari come la cardiopatia ischemica, rischio che è sensibilmente aumentato nei pazienti con sindrome metabolica rispetto alla popolazione generale. Una revisione sistematica di Tune et al. (2017) pubblicata su Translational Research ha evidenziato diversi meccanismi fisiopatologici associati alle malattie cardiovascolari tra cui la disfunzione endoteliale per diminuzione di ossido nitrico e aumento dello stress ossidativo, l’infiammazione cronica di basso grado associata all’aumento della produzione di citochine proinfiammatorie e alterazioni lipidiche come abbiamo visto sopra.

Un recente studio del 2021 pubblicato su Nature Scientific Reports ha dimostrato inoltre che la presenza di sindrome metabolica è un fattore predittivo di Steatosi Epatica Non Alcolica.

La sindrome metabolica rappresenta un fattore di rischio per l‘insufficienza renale cronica in quanto agisce sulla fisiopatologia renale. Il danno renale collegato all’insulinoresistenza è causato anche da un aumento del TGF-Beta 1 che negli adipociti di pazienti obesi e insulinoresistenti è aumentato ed è responsabile della proliferazione delle cellule mesangiali e del danno renale così come favorenti il danno renale sono i processi di riassorbimento del sodio e vasocostrizione endoteliale indotti dall’insulinoresistenza e visti in precedenza. Questo porta all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e all’accumulo di lipidi tubulari renali (ref).

schema patogenesi sindrome metabolica
Uno schema esemplificativo che raccoglie tutte le complicanze possibili della sindrome metabolica. Fonte: https://www.researchgate.net/publication/354561030_Role_of_vitamins_in_the_metabolic_syndrome_and_cardiovascular_disease

Gestione della Sindrome Metabolica: prospettive nutrizionali basate sull’evidenza.

Prima ancora di concentrarci sulle prospettive nutrizionali vale la pena ricordare che uno dei principi cardine per contrastare la sindrome metabolica è l’esercizio fisico. Anche la medicina che riguarda gli astronauti nel tempo ci ha insegnato che quando questi si trovano nello spazio impossibilitati a svolgere attività fisica diventano insulino-resistenti con tutte le conseguenze che conosciamo. L’attività fisica migliora la captazione muscolare del glucosio determinando un maggiore richiamo di recettori GLUT 4 sulla superficie cellulare e eliminando così il glucosio dal circolo sanguigno. L’esercizio fisico, tra l’altro, aumenta la produzione di fattori neurotrofici come il BDNF, il VEGF e l’IGF-1 che avrebbero anche effetto antidepressivo.
Uno stimolo fisico ripetuto durante l’attività fisica inoltre condurrebbe gli osteoblasti, cellule deputate all’apposizione di matrice ossea, a produrre Osteocalcina. L’osteocalcina è un ormone interessante in quanto è in grado di modulare il metabolismo glucidico anche se il rapporto tra insulino-resistenza e metabolismo osseo è oggi troppo poco considerato. Sappiamo infatti che la mancanza di insulina nei diabetici di tipo 1 porterebbe a una maggiore fragilità ossea mentre una iperinsulinemia costante condurrebbe alla produzione di un osso maggiormente mineralizzato ma più fragile in quanto assente la sua componente trabecolare.

La gestione del peso è un pilastro fondamentale nel trattamento della sindrome metabolica. Diversi studi recenti hanno ampiamente dimostrato che anche una modesta perdita di peso può portare significativi miglioramenti nei parametri metabolici.
In particolare una perdita di peso del 5% in individui con obesità porta a miglioramenti significativi nella sensibilità insulinica nel tessuto adiposo, nel fegato e nel muscolo migliorando la funzionalità delle beta-cellule pancreatiche (ref).

Le tante strategie nutrizionali attualmente praticabili per combattere la sindrome metabolica sono state ampiamente analizzate in studi interessanti che ne evidenziano pregi e difetti al fine di contenere l’evoluzione di questa condizione complessa.
Anche se ultimamente si tende a proporre strategie nutrizionali orientati alla riduzione dei carboidrati per combattere prediabete e insulinoresistenza uno trial clinico randomizzato di Salvadò et al. ha analizzato 1224 partecipanti al fine di determinare l’efficacia della dieta mediterranea supplementata con olio extravergine di oliva e noci. Ad un 1 anno la prevalenza di eventi cardiovascolari era diminuita del 6.7% nei soggetti che avevano seguito una dieta mediterranea con olio extravergine di oliva e del 13.7% nei pazienti che avevano seguito una dieta mediterranea + noci.

Una review sistematica della letteratura pubblicata nel 2022 sulla rivista Diabetology ha valutato l’impatto della dieta chetogenica sulla sindrome metabolica analizzando 20 articoli scientifici sul tema. 17 Articoli su 19 hanno hanno mostrato un effetto significativo della dieta chetogenica sulla perdita di peso, 7 articoli su 7 hanno dimostrato effetti sulla riduzione del BMI, 9 articoli su 13 un miglioramento dei livelli di insulina e 7 articoli su 9 un miglioramento dell’HOMA-IR. 7 articoli su 7 infine hanno mostrato un miglioramento dell’emoglobina glicata.

Uno studio del 2021 pubblicato su BMC Nutrition ha confrontato gli effetti delle diete a basso contenuto di carboidrati e delle diete a basso contenuto di lipidi sulla sindrome metabolica. Lo studio ha analizzato 289 soggetti obesi apparentemente sani assegnati alle due diverse strategie nutrizionali. I pazienti sono stati seguiti con un follow-up di 6 mesi. Dallo studio è emerso che i pazienti assegnati al gruppo di dieta a basso contenuto di carboidrati hanno mostrato una maggiore diminuzione della prevalenza di Sindrome Metabolica. All’inizio dello studio la prevalenza di sindrome metabolica era del 44.7% nel gruppo con dieta a ridotti carboidrati e del 60% nel gruppo con dieta a basso contenuto lipidico. Dopo 3 mesi nel gruppo con dieta a basso contenuto di carboidrati la prevalenza era scesa al 16.7% e dopo 6 mesi ulteriormente scesa al 3.7%. Nel gruppo a basso contenuto di lipidi invece la prevalenza di sindrome metabolica è scesa al 32.5% dopo 3 mesi e al 22.5% dopo 6 mesi. Questo significa che entrambe le strategie nutrizionali hanno dimostrato la stessa efficacia nel ridurre la prevalenza di Sindrome metabolica senza differenze statisticamente significative (considerando le prevalenze di partenza).

Dal punto di vista dei micronutrienti la Vitamina D potrebbe avere un ruolo nel controllo della glicemia e quindi dell’insulina.
Si è visto che in diabetici con livelli bassi di vitamina D (sotto i 20 ng/mL) che hanno ricevuto un’integrazione giornaliera di 1000 UI/giorno si sono ottenuti miglioramenti della glicazione e della funzione endoteliale. Ulteriori studi si stanno conducendo sul ruolo della vitamina D nel metabolismo del Glucosio. La vitamina D potrebbe interagire con i recettori muscolari GLUT4 migliorando la captazione del glucosio e aumentare l’espressione di recettori insulinici nelle cellule di tutto il corpo.

Tecnologie di Automonitoraggio

C’è un aspetto molto banale e molto semplice che però viene continuamente sottovalutato nel trattamento di pazienti con sindrome metabolica, insulinoresistenza, obesità, prediabete e, purtroppo, anche diabete di tipo 2.
Sto parlando dell’automonitoraggio glicemico. Oggi abbiamo la possibilità di indossare sensori glicemici molto affidabili (vedi modelli come Free Style Libre) che, in alcune regioni, in condizioni di Diabete di Tipo 2 vengono forniti gratuitamente dal SSN. Questi sensori a mia opinione possono essere di aiuto nell’assunzione di consapevolezza da parte del paziente sui suoi livelli glicemici e su come è importante regolare l’alimentazione al fine di mantenere la glicemia nel range fisiologico.
Un Biologo Nutrizionista potrebbe consultarsi con il medico curante del paziente e proporre per un periodo limitato di tempo la possibilità di indossare un sensore glicemico di supporto alla strategia nutrizionale. (Ref)

In molti pazienti con sindrome metabolica la componente psicologica gioca un ruolo fondamentale nell’ottenimento di risultati concreti a medio-lungo termine.
Interventi basati sulla psicoterapia cognitivo-comportamentale potrebbero migliorare l’aderenza alla dieta e all’esercizio fisico in pazienti con sindrome metabolica conducendo a miglioramenti sensibili nei fattori di rischio metabolici.

A tal proposito anche pratiche di mindful eating potrebbero risultare utili per ridurre l’iperalimentazione emotiva e migliorare il controllo glicemico in pazienti di questo tipo.

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