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Il Digiuno Intermittente e le sue implicazioni metaboliche

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Il Digiuno rappresenta uno stato di astensione completa volontaria (o imposta) dall’assunzione di cibo (ma non di acqua). Il digiuno ha una lunghissima storia nelle diverse tradizioni religiose e culturali.
Nella Bibbia il digiuno è menzionato come pratica di penitenza e di preparazione spirituale mentre nel Corano e nella tradizione islamica il digiuno (durante il Ramadan) è uno dei pilastri della fede islamica ed è un obbligo religioso per ogni musulmano adulto salvo alcune eccezioni.

Distinguiamo innanzitutto il “Digiuno Controllato” dalla Malnutrizione.
Il Digiuno controllato prevede una fase di completa astensione dall’assunzione di cibo e una fase in cui ci si può alimentare secondo varie modalità o secondo le proprie abitudini.
Il Digiuno non controllato (detto anche “Digiuno Cronico”) è una condizione in cui il digiuno non è controllato e conduce ad una restrizione calorica e proteica eccessiva che conduce alla malnutrizione.

Negli ultimi decenni il digiuno è stato oggetto di numerosissimi studi scientifici che ne hanno esplorato sia i benefici potenziali che i limiti nelle applicazioni terapeutiche.
Uno dei ricercatori italiani pionieri nello studio del digiuno è sicuramente il Prof. Valter Longo noto per la sua ricerca sulla “Dieta Mima Digiuno” sviluppata con l’obiettivo di migliorare la salute metabolica e ridurre i fattori di rischio per diverse malattie croniche (Ref). Prima ancora però il concetto di digiuno intermittente ha iniziato a guadagnare l’attenzione della comunità scientifica con gli studi del Dr. Mark Mattson, neuroscienziato del National Institute on Aging che ha condotto studi preclinici su roditori dimostrando che periodi di digiuno potevano migliorare le funzioni cognitive e aumentare la resistenza allo stress ossidativo nei neuroni (Mattson, Mark, 2022. The Intermittent Fasting Revolution: The Science of Optimizing Health and Enhancing Performance).
In generale l’attenzione sul digiuno ha visto un andamento ciclico nel corso del ‘900 con periodi di interesse acceso e periodi di moderato disinteresse come negli anni ’60 quando l’attenzione al digiuno inizia a scemare probabilmente perché l’obesità non era ancora diventato un problema rilevante di salute pubblica.

Tipologie di Digiuno

Esiste una varietà di tipologie di digiuno con modelli che prevedono l’astensione dall’alimentazione (o l’assunzione di poche calorie) per tempi che variano da 12 ore a diversi giorni.
Questi modelli vengono genericamente raggruppati sotto il termine di “Digiuno Intermittente” (in inglese Intermittent Fasting – IF) e hanno suscitato notevole interesse della comunità scientifica in quanto possibili trattamenti nutrizionali alternativi o complementari alle strategie dietetiche classiche. Alla base del digiuno intermittente c’è la premessa che un individuo potrebbe non aver bisogno di limitare le calorie introdotte ogni giorno per poter ottenere benefici metabolici ma che la limitazione può essere ciclicamente alternata a periodi di alimentazione regolare. Non ci soffermeremo particolarmente sui vari modelli di digiuno perché esiste una sconfinata letteratura scientifica in merito e ripeterli non apporterebbe valore aggiunto. E’ opportuno però fare giusto un cenno generale ai modelli di digiuno intermittente più diffusi.

La durata del digiuno può variare da 12 ore fino a 18 ore. Se non ci fosse un riferimento temporale specifico per definire il digiuno intermittente potremmo definire “digiuno” anche il tempo che intercorre tra la colazione e lo spuntino di metà mattina. In realtà i meccanismi biochimici e fisiologici che il digiuno instaura nell’individuo richiedono tempi specifici e per questo il digiuno prevede un minimo di ore di astensione dal cibo.

Il Digiuno Intermittente si divide in due gruppi: ICR (Intermittent Calorie Restriction) e TRF (Time Restricted Feeding).

L’ICR è un modello di digiuno che prevede 2 giorni di digiuno totale (o di semi digiuno) mentre nei restanti giorni il modello prevede un’alimentazione senza restrizioni dietetiche particolari potendo mangiare a sazietà. In genere questa strategia viene condotta all’interno di un certo periodo di tempo (normalmente una settimana). In questo modello ricadono il Digiuno 5:2 e l’Alternate Day Fasting (ossia il digiuno a giorni alterni).

Il modello di Digiuno 5:2 ideato dal medico inglese Michael Mosley prevede una finestra di alimentazione senza particolari restrizioni per 5 giorni e un periodo di digiuno di 2 giorni in cui l’introito calorico è differenziato tra uomo e donna.

Il modello Alternate Day Fasting comporta un digiuno a giorni alternati (un giorno di digiuno seguito da un giorno di alimentazione). Anche in questo caso nei giorni di digiuno è previsto un intake calorico diversificato per uomo donna (circa 500 kcal per le donne e 600 kcal per gli uomini).

Il TRF è un modello di digiuno che prevede periodi di alimentazione più ristretti senza prevedere giorni interi di alimentazione libera come nell’ICR. Questo modello prevede periodi di alimentazione che vanno dalle 8 alle 12 ore e periodi di digiuno totale che vanno dalle 12 fino alle 20 ore. Il modello di TRF più diffuso è l’ormai famoso modello 16:8 che prevede 16 ore di digiuno e una finestra di alimentazione di 8 ore. Definisco “famoso” questo modello perché si è dimostrato essere il più “flessibile” in grado di adattarsi alle diverse esigenze individuali potendo collocare la finestra di alimentazione a seconda delle proprie esigenze personali.

Adattamenti Metabolici del Digiuno

Immaginando idealmente di prolungare un digiuno fino a raggiungere una condizione critica per lo stato di salute possiamo suddividere la risposta fisiologica al digiuno in diverse fasi.

Una prima fase definita post-assorbitiva inizia dal mattino successivo all’ultima assunzione di cibo e si può protrarre anche per 2 o 3 giorni. In questa fase si ha il passaggio dal consumo di energia esogena derivante dall’ultimo cibo assunto all’energia endogena dove il glucosio è ricavato dalla demolizione del glicogeno epatico. In questa fase diminuisce di fatto l’utilizzo dei glucidi da parte del muscolo e del tessuto adiposo.
Dopo 3 giorni dall’ultima assunzione di cibo i depositi di glicogeno epatico sono esauriti per deplezione e si attiva la gluconeogenesi che, a partire dagli amminoacidi derivati dalla proteolisi delle proteine muscolari, fornisce le quantità di glucosio richiesta da vari organi come il cervello.


Quando però sono disponibili quantità importanti quantitàò di glicerolo liberato dal tessuto adiposo tramite la lipolisi il contributo alla gluconeogenesi da parte degli amminoacidi si riduce mentre aumenta l’ossidazione degli acidi grassi che porta a una produzione elevata di corpi chetonici.


In questa fase l’utilizzo degli amminoacidi da degradazione proteica diminuisce in quanto l’organismo sfrutta i grassi per fornire la maggior parte dell’energia ai processi metabolici. Sappiamo che il contenuto energetico dei lipidi è molto importante (9 kcal / gr dei lipidi contro le 4 kcal/gr dei carboidrati) e per questo la perdita di peso per mobilitazione delle riserve adipose in questa fase è molto lenta.
Dopo 30 – 40 giorni di digiuno si arriverebbe in una fase molto critica che spiana la strada per il decesso. Se il digiuno continuasse fino all’esaurimento di tutte le riserve di tessuto adiposo il nostro organismo aumenterebbe la degradazione di tutte le proteine muscolari per ottenere glucosio tramite gluconeogenesi. Questa condizione condurrebbe a morte certa. Alcune specie come i pinguini imperatori, sarebbero tuttavia in grado di sopravvivere per oltre 5 mesi senza cibo.

grafico andamento metabolico digiuno
Aumento dei corpi chetonici in base al tempo di digiuno. Credits: www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3946160/

In questo grafico (Ref) vediamo un aumento importante di corpi chetonici (Acetone, Acido Beta-Idrossibutirrico e Acido Acetoacetico) con un aumento predominante dell’Acido Beta-idrossibutirrico che rappresenta circa il 70% dei corpi chetonici prodotti durante la chetosi.

Ricapitolando grossolanamente le fasi metaboliche del digiuno abbiamo:

  • Una fase post-assorbitiva in cui l’organismo utilizza le ultime riserve di glucosio introdotte con l’ultimo pasto;
  • Una fase di demolizione delle riserve di glicogeno epatico per produrre glucosio;
  • Terminata la deplezione delle riserve di glicogeno epatico inizia una fase di glucoeneogenesi che coinvolge precursorsi come amminoacidi e glicerolo derivato dalla demolizione degli acidi grassi.

Perdita di Peso durante un Digiuno

La perdita di peso durante un digiuno è un fenomeno complesso in quanto si perde tessuto adiposo e il consumo energetico della persona non può rimanere costante nel tempo.
Secondo alcuni studi (Ref) la velocità con cui si perde peso durante un digiuno è direttamente proporzionale al peso corporeo e alla massa magra. Gli uomini non obesi possono perdere fino a 4kg durante i primi 5 giorni di digiuno e ulteriori 3 kg nei 5 giorni successivi mentre in caso di obesità importante invece si può arrivare a perdere fino al 50% in più.
In letteratura è stato descritto il caso di un paziente con un peso iniziale di 245kg che ha perso 32kg dopo solo 30 giorni di digiuno (Ref).
Come facile intuire la perdita iniziale di peso è da attribuirsi soprattutto a perdita di acqua dovuta alla deplezione del glicogeno epatico (ogni grammo di glicogeno porta con sé 2-3 grammi di acqua) e in misura minore del glicogeno muscolare.
Dopo una fase iniziale infatti la perdita di peso rallenta in quanto dipendente dalla demolizione della massa grassa. Sempre ipotizzando idealmente un digiuno prolungato di diverse settimane in linea generale si può stimare che dopo 3 settimane di digiuno una persona mediamente obesa può vedere il suo peso diminuire di circa 350 grammi al giorno.

Digiuno e Autofagia

L’autofagia è un processo cellulare molto rilevante che consente alle cellule di degradare e “riciclare” componenti cellulari danneggiati o non più funzionanti. Questo contribuisce al mantenimento dell’omeostasi cellulare e ad un’adeguata risposta allo stress. L’invecchiamento determina una riduzione dell’autofagia causando così i classici “danni da invecchiamento”.
La privazione di cibo come il digiuno si è visto in diversi studi promuovere l’autofagia (Ref) conducendo a un rallentamento dei processi di invecchiamento (Ref).
Disfunzioni con diminuzione dell’autofagia sono state documentate nelle malattie neurodegenerative in cui essa ha un ruolo nell’eliminazione di proteine malripiegate o di aggregati proteici tossici che si accumulano nei neuroni.
L’autofagia svolge un ruolo cruciale anche per la salute del fegato proteggendolo da stress ossidativo e dalla carcinogenesi. Si è visto che il digiuno e la restrizione calorica stimolano l’autofagia epatica aiutando la prevenzione di malattie epatiche come la Steatosi Epatica non Alcolica (NAFLD) (Ref).
Disfunzioni dell’autofagia sono associate anche allo sviluppo del cancro in quanto l’autofagia ha un ruolo protettivo verso la carcinogenesi (Ref)

Si stima che l’autofagia inizi ad attivarsi dopo circa 12 – 16 ore di digiuno ma, per effetti più significativi, potrebbero essere necessari da 2 a 3 giorni di digiuno continuativo.
Tuttavia anche pratiche di digiuno intermittente come il modello 16:8 che abbiamo visto sopra possono attivare autofagia in modo cumulativo nel corso del tempo.

Vantaggi del Digiuno Intermittente Vs. Dieta

Mi sembra utile riportare un recente studio pubblicato sull’autorevole rivista Cell Metabolism.
Questo studio clinico randomizzato di 8 settimane su 40 anziani senza problemi cognitivi ma con sovrappeso e insulino-resistenza ha esaminato gli effetti del modello di digiuno 5:2 rispetto ad una normale dieta variegata. Lo studio ha dimostrato che, sebbene il digiuno intermittente abbia indotto una maggiore perdita di peso, le due strategie nutrizionali hanno avuto effetti comparabili nel migliorare alcuni biomarker di invecchiamento cerebrale, nel miglioramento della memoria e cambiamenti minimi nei biomarker di malattia di Alzheimer da liquido cerebrospinale.

infografica digiuno intermittente
Infografica presa dallo studio “Brain Responses to intermittent fasting and the healthy living diet in older adults”. Credits: www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1550413124002250

Conclusione

Il digiuno rappresenta oggi una strategia nutrizionale oggetto di interesse e di attenzioni da parte della comunità scientifica.
Evidenze scientifiche supportano il digiuno intermittente come strumento alternativo per ottenere un adeguato dimagrimento soprattutto in soggetti che hanno fallito precedenti strategie terapeutiche.
Dal punto di vista del ruolo del digiuno sulla capacità di indurre autofagia in grado di prevenire malattie croniche, cardiometaboliche e tumori ci sono evidenze che confermano queste proprietà del digiuno che però, a mio avviso, vanno ulteriormente indagate con studi su più larga scala. Attualmente il digiuno sembra essere perlopiù un’ulteriore “arma” efficace per il dimagrimento a disposizione degli specialisti della nutrizione da utilizzare in strategie dietoterapiche combinate magari con altri protocolli nutrizionali.

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