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Gonfiore Addominale: definizione, fisiopatologia e strategie nutrizionali

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Il gonfiore addominale rappresenta una delle manifestazioni sintomatologiche più frequenti nell’ambito dei disturbi gastrointestinali, con un’incidenza significativa trasversale alle diverse fasce d’età.
La sua prevalenza è particolarmente elevata nei pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e altri disturbi gastrointestinali funzionali, sebbene si riscontri frequentemente anche in presenza di patologie organiche.

La presentazione clinica si caratterizza per manifestazioni quali distensione addominale, sensazione di pienezza e disagio viscerale, con un’intensità sintomatologica variabile da lieve a severa, impattando significativamente sulla qualità di vita dei soggetti affetti dalla problematica. Nonostante la sua elevata prevalenza la comprensione dei meccanismi fisiopatologici sottostanti rimane ancora in parte inspiegata.

L’eziopatogenesi del gonfiore addominale è caratterizzata da una natura multifattoriale che coinvolge alterazioni della produzione dei gas intestinali, modificazioni del microbiota e fenomeni di ipersensibilità viscerale. Un aspetto rilevante è la frequente comorbidità con la IBS e con la dispepsia funzionale, che ha portato all’adozione di approcci terapeutici mutuati dal trattamento di queste condizioni (Ref). Nonostante le comorbidità spesso presenti in questo tipo di pazienti il gonfiore funzionale isolato può rappresentare anche un’entità clinica distinta. Uno studio pilota spagnolo ad esempio ha evidenziato una correlazione tra intolleranza ai carboidrati e manifestazioni di gonfiore, dimostrando come un intervento dietetico mirato alla riduzione degli zuccheri malassorbibili possa determinare un miglioramento clinico in una percentuale significativa di pazienti.
C’è da dire che la gestione clinica del gonfiore addominale rimane ancora oggi una sfida terapeutica, con risultati spesso subottimali. Sebbene le strategie di trattamento si sovrappongano parzialmente a quelle dell’IBS, è fondamentale riconoscere il gonfiore addominale come un’entità nosologica distinta, che richiede un approccio terapeutico specifico basato su evidenze scientifiche dedicate.

Definiamo il Gonfiore Addominale

Nell’inquadramento di questo tema è sicuramente molto rilevante il contributo della Rome Foundation organizzazione che da tanti anni si occupa di raccogliere e fornire dati sui disturbi della funzioni gastrointestinali. Ci riferiamo in particolare ai criteri di Roma V del 2023 sui quali ancora oggi si fonda la definizione dei disturbi gastrointestinali tra cui anche quella di IBS. Secondo i criteri di Roma V il gonfiore addominale è considerabile come entità indipendente dall’IBS e viene definito come una “sensazione ricorrente di gonfiore o distensione visibile per almeno 1 giorno a settimana associata ad un aumento della tensione addominale. Questa condizione è considerata predominante rispetto ad altri sintomi gastrointestinali e deve essere presente per un periodo di tempo significativo orientativamente negli ultimi 3 mesi con insorgenza nei 6 mesi precedenti alla diagnosi.

Alcuni meccanismi responsabili del Gonfiore Addominale

Analizzando la fisiopatologia del gonfiore addominale non possiamo non iniziare citando il microbiota intestinale. Tra i microrganismi che compongono il microbiota intestinale molte specie non possono essere facilmente coltivate in laboratorio per questo la comprensione della funzione delle varie specie batteriche è ancora oggi incompleta. Tuttavia in generale secondo Parkes et al. (Ref) il microbiota intestinale può essere suddiviso in microbiota luminale (quello cioè presente nel lume intestinale) e microbiota mucosale (quello cioè presente in adesione alle mucose). Il microbiota luminale rappresenta il volume più importante di microrganismi che compongono la flora del tratto GI e svolge un ruolo chiave sia nell’IBS che nel gonfiore addominale a causa della fermentazione dei carboidrati e della produzione di gas.

microbiota luminale e mucosale

Immagine da: https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC3816178/#B35

In diversi studi è stato dimostrato che il microbiota fecale di soggetti affetti da IBS, ad esempio, è profondamente alterato (Ref).
La sovracrescita batterica dell’intestino tenue (abbreviata come SIBO) potrebbe essere una della cause principali dell’IBS e quindi anche del gonfiore addominale che, in alcuni studi, si è visto migliorare in seguito a trattamento con antibiotici (Ref, Ref).

Il ruolo dell’accumulo di gas intestinale nel gonfiore addominale è controverso. Il volume eccessivo di gas intestinale è stato infatti considerato come possibile causa di gonfiore addominale ma alcuni studi hanno dimostrato radiologicamente che il contenuto di gas intra-addominale non era necessariamente associato al gonfiore addominale (Ref). Anche un altro studio che ha utilizzato la TAC processata con software di analisi delle immagini ha dimostrato che l’aumento di gas intra-addominale non era associato al gonfiore addominale nella maggior parte dei pazienti. 

La velocità di transito del cibo invece sembrerebbe essere implicata nello sviluppo del gonfiore addominale (Ref) come dimostrato in uno studio che ha somministrato a volontari loperamide (farmaco che rallenta il transito) e che hanno poi sviluppato gonfiore addominale.

La percezione dei sintomi del gonfiore addominale è principalmente legata a come il gas intraluminale si distribuisce nell’intestino mentre la percezione di distensione addominale potrebbe dipendere principalmente dal volume di gas presente nell’intestino stesso.
Si è inoltre visto che pazienti con gonfiore addominale presentano una evacuazione di gas intestinale meno efficace rispetto a pazienti sani e questa caratteristica, insieme alla gestione alterata dei gas intestinali, può essere causa dei meccanismi di distensione addominale e gonfiore.

Il sistema nervoso ha un ruolo in tutto questo. L’attivazione del sistema nervoso simpatico infatti aumenterebbe la percezione della distensione addominale in pazienti con gonfiore addominale. A questo è necessario aggiungere il fatto che alcune tipologie di pazienti, come quelli affetti da IBS, hanno una iper-attenzione ai loro sintomi addominali alterando in un certo senso la percezione cosciente dei sintomi stessi.

Intolleranze Alimentari e ruolo dei Carboidrati

E’ chiaro che le abitudini alimentari giocano un ruolo importante nel gonfiore addominale.
E’ quindi necessario, per il professionista della nutrizione, effettuare un’attenta anamnesi dietetica per capire le abitudini alimentari del soggetto.
La dieta Low-FODMAP è una strategia nutrizionale nata per contrastare l’IBS. Il termine “FODMAP” sta ad indicare una serie di molecole che sarebbero in grado di fermentare, trattenere o richiamare acqua nel lume intestinale fattori potenzialmente in grado di peggiorare l’IBS ma anche il gonfiore addominale.
Queste molecole sono: oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli.
Queste molecole in realtà sono carboidrati a catena corta scarsamente assorbiti nell’intestino tenue che possono fermentare una volta raggiunto il colon causando gonfiore, produzione anomala di gas, dolore addominale e alterazioni della regolarità intestinale.

In realtà queste molecole non hanno un significato oggettivamente negativo per chi li assume. In effetti i fodmap hanno anche una funzione nella produzione di energia ma anche una funzione regolatoria per l’intestino in quanto hanno attività prebiotica nutrendo di fatto la flora batterica intestinale. Tutto in effetti dipende dalla “tollerabilità” individuale del soggetto verso questo tipo di sostanze.

La dieta a basso contenuto di FODMAP è stata sviluppata dalla Monash University of Melbourne (Ref) e si è visto che la sua applicazione conduce ad una riduzione del gonfiore addominale, della flatulenza, del dolore addominale e della distensione addominale stessa.

Questa dieta è in realtà una strategia nutrizionale molto particolare che, ovviamente, deve essere impostata esclusivamente da un Biologo Nutrizionista, Dietista o Medico Dietologo. Prevede infatti una fase iniziale di eliminazione dei FODMAP, questa fase dura in genere dalle 6 alle 8 settimane. Successivamente a questa fase si valuta la sintomatologia del paziente e, laddove questa si fosse ridotta, è possibile iniziare una fase (prudente) di reintroduzione graduale dei FODMAP avendo l’accortezza ovviamente di introdurli uno alla volta per ogni settimana in modo da verificare l’effetto della singola molecola sulla sintomatologia.

Tabella efficacia dieta Low FODMAP

Tabella che propone un riepilogo di alcuni studi effettuati per valutare l’effetto degli interventi dietetici Low-FODMAP su IBS. Tratta da: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/23701141/

In generale si è visto che la dieta a basso contenuto di FODMAP può ridurre il gonfiore addominale dal 50% all’82% (Ref, Ref)

I prodotti che, più di altri, contengono FODMAP sono i latte e derivati, la frutta disidratata, alcuni legumi come i fagioli e semi oleosi come i pistacchi e gli anacardi. Anche alcuni cereali come orzo, frumento e segale contengono fodmap così come le mele, i carciofi, il cavolfiore, la cipolla e l’anguria. Anche i funghi contengono fodmap così come i dolcificanti (specie i polioli) e il miele.

Oltre alla riduzione dei FODMAP è importante che i pazienti affetti da gonfiore addominale limitino (o eliminino) l’assunzione di bevande gassate così come un’attenzione particolare va posta verso le fibre. E’ stato visto infatti che le fibre alimentari potrebbero aumentare il gonfiore pur avendo effetti benefici sulla regolarità intestinale. La scelta delle fibre pertanto deve essere molto attenta e si dovrebbero evitare fibre integrali come crusca di frumento mentre ad  esempio lo psillo sembra essere meglio tollerato (Ref) così come in generale le fibre non fermentabili sono meglio tollerate.

CONCLUSIONI

L’analisi approfondita della letteratura scientifica e delle evidenze cliniche relative al gonfiore addominale fornisce un quadro complesso che richiede un approccio multifattoriale e personalizzato al trattamento di questa condizione. La comprensione dei meccanismi fisiopatologici sottostanti il gonfiore addominale ha fatto significativi progressi negli ultimi anni, evidenziando il ruolo cruciale dell’interazione tra microbiota intestinale, motilità gastrointestinale e sensibilità viscerale. Le evidenze scientifiche supportano l’importanza di un approccio diagnostico che consideri sia le componenti funzionali che organiche di questo disturbo.

L’intervento nutrizionale, in particolare attraverso l’implementazione di una dieta a basso contenuto di FODMAP, emerge come strategia terapeutica efficace, con tassi di efficacia documentati tra il 50% e l’82% nella riduzione della sintomatologia. Questo approccio dietetico, tuttavia, richiede una gestione attenta e professionale, con particolare attenzione alla fase di eliminazione e successiva reintroduzione dei componenti alimentari.

È fondamentale sottolineare che, nonostante le sovrapposizioni sintomatologiche con l’IBS e altri disturbi funzionali gastrointestinali, il gonfiore addominale può manifestarsi come entità clinica distinta che necessita quindi di un approccio terapeutico specifico e personalizzato. La gestione ottimale richiede una valutazione individualizzata che consideri:

  1. Il profilo del microbiota intestinale del paziente
  2. La presenza di potenziali intolleranze alimentari (es. Lattosio)
  3. Le caratteristiche della motilità intestinale
  4. Il ruolo del sistema nervoso autonomo nella modulazione dei sintomi

Le future direzioni della ricerca su questo tema dovrebbero concentrarsi sulla caratterizzazione più precisa dei sottogruppi di pazienti e sullo sviluppo di protocolli terapeutici mirati, considerando l’eterogeneità della presentazione clinica e dei meccanismi patogenetici sottostanti. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta all’identificazione di biomarcatori predittivi della risposta al trattamento e allo sviluppo di approcci terapeutici integrati che combinino interventi dietetici, modificazioni dello stile di vita e, quando appropriato, supporto farmacologico.

La gestione del gonfiore addominale rimane una sfida clinica significativa che richiede un approccio evidence-based e multidisciplinare, con particolare enfasi sul ruolo centrale dell’intervento nutrizionale personalizzato nella strategia terapeutica complessiva.

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