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Il Diabete di Tipo 1 è una malattia autoimmune che comporta una progressiva distruzione delle cellule Beta del pancreas, ossia delle cellule deputate alla produzione di insulina. Questa distruzione è irreversibile e conduce ad un deficit totale di insulina nel soggetto che richiede la somministrazione di insulina esogena per tutta la vita.
In questo articolo ricopro un duplice ruolo: quello del Biologo “divulgatore” e quello della Persona “paziente” in quanto sono io stesso affetto da Diabete di Tipo 1. Questa condizione mi da l’occasione per scrivere un articolo diverso dagli altri in cui pongo in primo piano l’esperienza di diabetico per aiutare i colleghi Biologi Nutrizionisti a comprendere meglio alcuni aspetti, talvolta molto complessi, di questa malattia.
Differenza tra Diabete di Tipo 1 e Diabete di Tipo 2
Questa è una differenza ormai assolutamente nota a tutti noi, tuttavia vale la pena a mio avviso ricordarla brevemente per fugare ogni residuo dubbio possibile. E’ utile chiarire le differenze con un breve elenco puntuale.
- Il Diabete di Tipo 1 è una malattia autoimmune
- Il Diabete di Tipo 2 non è una malattia autoimmune
- Il Diabete di Tipo 1 comporta un deficit grave e irreversibile nella produzione di insulina
- Il Diabete di Tipo 2 comporta un deficit di produzione di insulina meno grave rispetto al Diabete di Tipo 1 ma soprattutto nel Diabete di Tipo 2 l’insulina prodotta non viene efficacemente utilizzata dalle cellule conducendo a insulinoresistenza.
- L’eccesso di peso corporeo e un regime alimentare non adeguato sono fattori molto rilevanti nel Diabete di Tipo 2 perchè questi fattori conducono sia allo sviluppo dell’insulinoresistenza sia alla ridotta secrezione insulinica alla base dell’insorgenza di questa forma di Diabete.
- L’eccesso di peso corporeo nel Diabete di Tipo 1 è determinante nell’ottica del mantenimento di uno stato di salute generale ma non è alla base dell’insorgenza della malattia. Un regime alimentare non adeguato nel Diabete di Tipo 1 può peggiorare la malattia ma non è la causa della stessa.
- Il Diabete di Tipo 1 attualmente non ha una cura e quindi è una malattia cronica dalla quale non è possibile guarire.
- Il Diabete di Tipo 2 prevede una serie di trattamenti farmacologici e dietoterapici che possono condurre alla remissione della patologia ossia una condizione in cui i livelli di glicemia rientrano nel range di normalità senza più necessità di terapia farmacologica.
Quante tipologie di Diabete esistono?
Le principali tipologie di diabete sono le seguenti:
- Diabete di Tipo 1
- Diabete di Tipo 2
- Diabete Gestazionale
- Diabete LADA
- Diabete MODY
- Diabete secondario ad altra patologie
Relativamente al Diabete di Tipo 1 e di Tipo 2 abbiamo già descritto alcune peculiari caratteristiche. E’ opportuno concentrarci invece sul Diabete LADA (Latent Autoimmune Diabete of the Adult).
Il Diabete LADA è una particolare forma di diabete di tipo 1 che insorge in età adulta e in cui l’attacco autoimmune alle Beta Cellule Pancreatiche è più lento rispetto al classico di Diabete di Tipo 1 che invece insorge generalmente in età pediatrica.
All’inizio della malattia il Diabete LADA generalmente non richiede la somministrazione di insulina. Con il tempo però la distruzione delle beta-cellule viene completata e quindi si arriva alla necessità di somministrare insulina esogena.
Il diabete LADA si manifesta generalmente dopo i 30 anni di età e viene molto spesso inizialmente confuso con il Diabete di Tipo 2 con il quale condivide alcune caratteristiche come, ad esempio, l’insulino-resistenza e il sovrappeso. La confusione tra le due forme di diabete però dura fino a che non si esegue un dosaggio degli autoanticorpi tipici di questa malattia che sono, principalmente, Anticorpi Anti GAD, Anticorpi Anti IA2, Anticorpi Anti Trasportatore dello Zinco. La positività anche solo ad uno di questi anticorpi è indice di Diabete LADA. Anche il dosaggio del C-Peptide aiuta nella diagnosi differenziale.
La gestione clinica e nutrizionale del Diabete LADA all’insorgenza della malattia può essere talvolta molto complessa in quanto, nelle fasi iniziali della malattia, il soggetto per almeno 6 mesi dopo l’esordio non necessità di insulina in quanto esiste una produzione residua di insulina endogena che può durare per periodi più o meno lunghi.
Questa produzione di insulina endogena andrà via via diminuendo arrivando alla necessità di somministrazione di insulina esogena. Questa, per alcuni periodi, potrà andarsi inevitabilmente a sovrapporre con la residua produzione endogena che può determinare ipoglicemie frequenti che dal punto di vista nutrizionale necessitano di essere gestite con grande attenzione.
Sfide nutrizionali nel trattamento del soggetto con Diabete di Tipo 1
Nel corso degli anni mi sono rivolto a colleghi biologi nutrizionisti per poter seguire un’alimentazione che fosse il più in linea possibile con la mia patologia. Quello che ho notato è, ahimè, una maggiore conoscenza del Diabete di Tipo 2 e una più scarsa conoscenza del Diabete di Tipo 1 che, per sua natura, tende a spaventare di più il nutrizionista rispetto al tipo 2. La “paura” o l’incertezza nel trattare un soggetto con Diabete di tipo 1 è sicuramente giustificata dalla complessità della malattia e dal fatto che molti di questi pazienti (perlopiù i pazienti più giovani) solitamente sono portatori di microinfusore che è il dispositivo medico che infonde insulina automaticamente in continuo senza necessità di ricorrere alle iniezioni con penne pre-riempite.
Uno dei problemi più frequenti che può riscontrarsi in un piano nutrizionale indirizzato ad un soggetto con Diabete insulinodipendente è sicuramente un aumento dell’apporto glucidico. Questo aumento è generalmente impostato “precauzionalmente” dal biologo nutrizionista per evitare la conseguenza più temuta del Diabete di Tipo 1 che è l’ipoglicemia.
Un apporto glucidico maggiorato allo scopo di prevenire le ipoglicemie va però attentamente ragionato e valutato perchè non sempre rappresenta la strategia terapeutica più adatta. La strategia nutrizionale in questo tipo di pazienti andrebbe impostata non soltanto in termini di quantità di carboidrati inseriti nel piano alimentare ma anche e soprattutto in termini di qualità degli stessi.
In caso di pazienti in trattamento insulinico che presentano frequenti ipoglicemie (condizione molto molto comune specie all’esordio del diabete LADA) bisogna innanzitutto consultarsi necessariamente con il diabetologo che ha in cura il paziente perchè è fondamentale capire la natura delle ipoglicemie e con lui concordare un piano nutrizionale.
Alcune ipotesi di carattere “spiccatamente nutrizionale” può farle anche il biologo nutrizionista ma, in generale, l’ipoglicemia è un evento disfisiologico che può raggiungere elevati livelli di gravità tanto da mettere in pericolo la vita del soggetto in quanto prevede di considerare degli aspetti clinici che vanno affrontati necessariamente dal medico.
Ci sono diverse forme di ipoglicemia e le ipoglicemie reattive per esempio sono la classica forma di ipoglicemia che ha una relazione molto stretta con l’alimentazione, soprattutto con la tipologia di carboidrati che il soggetto assume. Su questo il biologo nutrizionista può assolutamente aiutare il paziente a scegliere sia la giusta quantità che la tipologia di carboidrati più adatta al suo caso specifico. Inutile ricordare che i carboidrati semplici sono quelli da evitare il più possibile mentre quelli complessi sono quelli da preferire anche nell’ottica di ridurre gli episodi di ipoglicemia reattiva.
La dinamica dell’assunzione dei carboidrati è fondamentale per questi pazienti.
Un paziente con diabete di tipo 1 che pratica attività sportiva va attentamente valutato in relazione alle tempistiche di assunzione degli alimenti in relazione allo sport praticato, soprattutto se il paziente si somministra l’insulina con penne pre-riempite oppure se indossa un microinfusore di insulina. In questo caso infatti il paziente dovrà comunicare al microinfusore l’inizio dell’attività fisica in modo tale che il dispositivo riduca di una certa percentuale l’erogazione di insulina durante l’attività fisica.
Questo deve necessariamente essere pianificato congiuntamente ad un’adeguata alimentazione e soprattutto ad un’adeguata tempistica di assunzione degli alimenti.
L’assunzione di carboidrati complessi prima dell’attività fisica è sicuramente una delle strategie nutrizionali maggiormente praticate in questo tipo di pazienti. Specialmente nel diabete LADA che condivide alcune caratteristiche con il diabete di tipo 2 (es. insulinoresistenza) la glicemia può abbassarsi durante l’attività fisica. Questo può accadere perchè durante l’esercizio fisico (specie di tipo aerobico) aumenta di molto il reclutamento dei trasportatori del glucosio GLUT 4 sulla membrana delle cellule muscolari consentendo così al glucosio di entrare nelle cellule abbassando di conseguenza i livelli di glicemia.
In realtà questo non è affatto l’unico meccanismo biochimico che conduce ad un aumento dell’insulinosensibilità (e quindi a possibili abbassamenti dei livelli glicemici) durante l’attività fisica. Ci sono alcuni altri meccanismi biochimici fondamentali come, ad esempio, l’aumento dell’attività di alcune protein chinasi (AMPK) che conducono fosforilazioni su proteine target che stimolano l’uptake del glucosio nelle cellule muscolari (Riferimento Scientifico). In alcuni casi, secondo il parere del diabetologo, durante l’attività sportiva il soggetto può assumere carboidrati complessi idrosolubili come maltodestrine al fine di mantenere stabile la glicemia.
Terapia Insulinica: penne con ago oppure microinfusore?
Nel diabete di tipo 1 esistono due principali modalità di somministrazione di insulina:
- Somministrazione tramite penne pre-riempite dotate di aghi molto sottili che somministrano l’insulina nel sottocute, in particolare nel tessuto adiposo sottocutaneo.
- Somministrazione tramite microinfusore.
La scelta del metodo di somministrazione dipende da molteplici fattori ed è una scelta normalmente concordata dal paziente con il proprio diabetologo. Il Biologo Nutrizionista non dovrebbe in alcun modo interferire con questa scelta che è di esclusiva competenza medica.
Le due tipologie di somministrazione però presentano differenze molto importanti. Tali differenze riguardano tantissimi aspetti della malattia diabetica di tipo 1. Ne citerò solo due tra le più importanti:
- Dinamica di rilascio e assorbimento dell’insulina
Le penne pre-riempite non consentono un controllo molto “fine” della somministrazione di insulina: il bolo viene erogato in pochissimi secondi accumulandosi nel tessuto adiposo del sottocute per poi distribuirsi nel liquido interstiziale. Questo metodo di somministrazione è abbastanza “traumatico” per i tessuti sottocutanei tanto da generare, molto frequentemente, le lipodistrofie ossia una complicanza cutanea molto diffusa tra i diabetici di tipo 1 che riguarda il tessuto adiposo e dovuta all’effetto lipogenico dell’insulina. Le lipodistrofie si manifestano come rigonfiamenti o affossamenti nel sito di iniezione con accumulo di liquidi nero-giallognoli che possono perdurare anche per molti giorni.
Questo non è soltanto un problema estetico ma diventa un problema funzionale quando influisce sulla cinetica di assorbimento dell’insulina. Le lipodistrofie possono causare ipoglicemie o iperglicemie a seconda di come esse interferiscono con l’assorbimento insulinico.
Il microinfusore presenta una modalità completamente diversa di somministrare l’insulina. Innanzitutto l’ago del microinfusore viene inserito una volta nell’addome e viene utilizzato per diversi giorni (a seconda del tipo di microinfusore) senza necessità di pungersi continuamente. Inoltre il microinfusore eroga l’insulina in maniera più fisiologica avvicinandosi (per quanto possibile) a quanto farebbe una beta-cellula pancreatica. L’insulina non si accumula a grandi volumi nel tessuto adiposo sottocutaneo ma viene somministrata molto lentamente garantendo un assorbimento ottimale, una scarsissima possibilità di lipodistrofie importanti con conseguente riduzione del rischio di ipoglicemie e un miglior assorbimento del farmaco in generale. - Tipi di insulina utilizzati
La somministrazione di insulina con le penne preriempite prevede generalmente l’uso di due tipologie di insulina: insulina lenta e insulina rapida.
L’insulina lenta ha una cinetica di rilascio molto particolare in quanto viene rilasciata nelle 24H in maniera graduale. Si somministra quindi giornalmente e agisce fino alla somministrazione successiva.
L’insulina rapida invece è quella che viene erogata dal paziente prima dei pasti o per correggere eventuali iperglicemie sopraggiunte nella giornata. Un paziente diabetico di tipo 1 che usa le penne può avere la necessità di bucare la pelle dell’addome almeno per 5 volte (bolo colazione, bolo spuntino, bolo pranzo, bolo merenda, bolo cena) ma, molto spesso il numero di iniezioni è sensibilmente superiore a causa della necessità di correggere iperglicemie sopraggiunte arrivando anche a 7/8/10 iniezioni al giorno con conseguente abbassamento notevole della qualità di vita del paziente. Questo innesca un circolo vizioso che interessa l’aspetto emotivo e che ha inevitabili conseguenze sullo stile alimentare spesso costringendo a frequenti correzioni per iperglicemie da iper assunzione di cibo stress-indotte.
Il microinfusore invece utilizza solo un tipo di insulina che è l’insulina rapida.
Chi indossa il microinfusore infatti non usa l’insulina lenta in quanto è lo stesso microinfusore che eroga microdosi di insulina rapida durante le 24H garantendo così un apporto continuo di insulina rapida senza necessità di ricorrere alla somministrazione dell’insulina a lento rilascio.
Qual’è la conseguenza di questa differenza?
La conseguenza risiede in un maggior controllo dei valori di glicemia per chi indossa il microinfusore rispetto a chi si somministra insulina con le penne che può andare incontro a maggiori rischi di ipoglicemia.
Durante un’attività fisica non pianificata infatti il soggetto che usa le penne potrà evitare la somministrazione di insulina rapida ma non potrà fermare l’azione dell’insulina lenta già erogata che, in qualche modo, contribuirà a ridurre i livelli glicemici sotto sforzo. Questo aspetto va attentamente considerato durante l’attività fisica di soggetti diabetici di tipo 1 che si somministrano insulina con penne in quanto l’alimentazione dovrebbe aiutare a evitare abbassamenti repentini e importanti della glicemia sotto sforzo.
Il microinfusore invece può essere “settato” nella modalità “SPORT” in modo da ridurre la quantità di insulina rapida erogata durante l’attività sportiva riducendo così il rischio di ipoglicemie.
La scelta di utilizzare penne preriempite o microinfusore di insulina è una scelta complessa, molto personale, nella quale il principale decisore è il paziente che deve sentirsi pronto ad indossare per tutta la vita un dispositivo medico (talvolta anche ingombrante ed evidente) che rimarrà addosso per tutto il giorno. Anche se ci sono molti benefici nell’uso del microinfusore rispetto alle penne la scelta personale non è sindacabile e, a meno di condizioni patologiche che rendono il microinfusore obbligatorio per salvaguardare la salute del paziente (es. ipoglicemie importanti), questa scelta non va mai giudicata e va sempre rispettata.
I due parametri fondamentali da attenzionare nel Diabetico di Tipo 1
Ci sono due parametri clinici da attenzionare nel diabete di tipo 1. Parliamo di:
- Fattore di Sensibilità Insulinica
- Rapporto Insulina Carboidrati
Chiariamo subito che questi parametri vengono decisi esclusivamente dal medico diabetologo e non dal biologo nutrizionista.
E’ il diabetologo che, in seguito ad attenta anamnesi del paziente con diabete di tipo 1, stabilisce questi due parametri. E’ però fondamentale conoscerli al fine di poter impostare al meglio un piano nutrizionale per un paziente con questo tipo di diabete.
Il Fattore di Sensibilità Insulinica (FSI) esprime di quanto si riduce la glicemia (espressa in mg/dl) dopo l’erogazione di 1 unità di insulina. Questo fattore si calcola secondo specifiche formule (che non vedremo) ma è molto importante in due casi:
- Quando si deve correggere una iperglicemia e voglio sapere di quanti mg/dl la mia glicemia scenderà dopo aver corretto con 1 unità di insulina. Questo mi permette di capire quante unità di insulina dovrò erogare per portare la glicemia al valore desiderato.
- Quando devo erogare un bolo per il pasto ma la mia glicemia prepreandiale è diversa dal valore desiderato. In questo caso il Fattore di Sensibilità Insulinica mi indicherà quante unità di insulina dovrò aggiungere (o sottrarre) al bolo.
Il Rapporto Insulina Carboidrati (I:C) indica quanti grammi di carboidrati riesce a metabolizzare 1 unità di insulina rapida nel mio organismo.
E’ un parametro che può variare in base al momento della giornata e, ovviamente, varia molto tra soggetto e soggetto. Generalmente questo valore viene ricavato dal diabetologo tramite un diario alimentare ben realizzato dal paziente.
Entrambi questi valori vanno a formare i parametri principali che alcune tipologie di microinfusori richiedono per funzionare al meglio e realizzare un più ottimale controllo glicemico nel paziente.
Conta dei Carboidrati
Il paziente con diabete di tipo 1 deve essere attentamente istruito sui macronutrienti, con particolare riguardo, ovviamente, ai carboidrati.
Tuttavia al paziente va fornita una adeguata istruzione anche su grassi e proteine che, come sappiamo, hanno un ruolo nell’assorbimento dei carboidrati e in generale nel controllo della glicemia.
Per il diabetico di tipo 1 la conta dei carboidrati è lo strumento indispensabile per il controllo della propria malattia e per mantenere uno stato di salute ottimale.
E’ fondamentale che il paziente:
- Sappia riconoscere gli alimenti che contengono carboidrati da quelli che non li contengono
- Conoscere la quantità di carboidrati presenti nella quantità di alimenti che si intende mangiare
Questo è propedeutico per comprendere quante unità di insulina somministrare.
Il Biologo Nutrizionista su questo ha un ruolo fondamentale in quanto può di fatto insegnare al paziente la conta dei carboidrati attraverso un’attenta operazione di educazione alimentare mirata.
Conclusioni
Affrontare il Diabete di Tipo 1 richiede un approccio multidisciplinare che coinvolge pazienti, medici, nutrizionisti e altri professionisti della salute. La gestione della malattia non si limita alla somministrazione di insulina, ma include un’attenta pianificazione nutrizionale, la conoscenza dei macronutrienti e la capacità di adattare l’apporto alimentare alle esigenze individuali. Il ruolo del biologo nutrizionista è cruciale, non solo per fornire consigli dietetici, ma anche per educare i pazienti alla gestione autonoma della loro condizione.
Essendo io stesso affetto da Diabete di Tipo 1, ho voluto condividere la mia esperienza per fornire una prospettiva pratica e personale su questa malattia complessa. Spero che queste informazioni possano aiutare i colleghi nutrizionisti a comprendere meglio le sfide quotidiane dei pazienti diabetici e a migliorare la qualità del supporto che offrono.
L’obiettivo finale è quello di garantire che ogni paziente con Diabete di Tipo 1 possa vivere una vita sana e attiva, gestendo la malattia con consapevolezza e competenza. La collaborazione tra professionisti della salute e pazienti è fondamentale per raggiungere questo traguardo, assicurando un percorso di cura personalizzato e integrato.
Il Diabete di Tipo 1 non è solo una sfida medica, ma anche una sfida personale e quotidiana che può essere affrontata con successo grazie alla giusta informazione, supporto e determinazione.