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Alimentazione e Infiammazione Cronica: la dieta antinfiammatoria

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L’infiammazione cronica e il Ruolo della Dieta

L’infiammazione cronica di basso grado è una condizione patologica molto diffusa prevalentemente associata a insulino-resistenza, diabete di tipo 2 e ad altre conseguenze dovute a un non propriamente corretto stile di vita. L’infiammazione cronica che si manifesta in base all’avanzamento dell’età prende anche il nome di inflamm-aging termine che descrive un fenomeno di infiammazione cronica di basso grado che si instaura progressivamente con l’invecchiamento, risultando implicato nella patogenesi di numerose malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, patologie cardiovascolari, e deterioramento cognitivo. Questo stato perennemente infiammatorio è caratterizzato dall’aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie come il TNF-α, l’IL-6, e la PCR, che contribuiscono al mantenimento di un’infiammazione sistemica di basso livello a lungo termine. Il fenomeno dell’infiammazione cronica di basso grado è strettamente associato all’aumento dello stress ossidativo, il quale inevitabilmente accelera il processo di invecchiamento e contribuisce alla progressione di malattie croniche. Molte evidenze scientifiche anche recenti hanno dimostrato che le modifiche nell’alimentazione possono ridurre l’infiammazione sistemica e mitigarne gli effetti (Ref Ref). Nel dettaglio è sicuramente l’adozione di un regime dietetico ricco di alimenti antiossidanti e a basso contenuto di grassi saturi che può modulare favorevolmente la produzione di citochine pro-infiammatorie, migliorando la qualità della vita dei soggetti affetti dallo stato infiammatorio cronico, specie nelle persone anziane. Alimentazione e Infiammazione Cronica rappresentano due componenti essenziali per il mantenimento di un buono stato di salute.

Nell’immagine seguente, tratta dall’articolo “Low-grade systemic inflammation and the development of metabolic diseases: From the molecular evidence to the clinical practice” si evidenzia come il tessuto adiposo (oggi ormai considerato un vero e proprio organo endocrino per la sua capacità di produrre segnali e fattori proteici di varia natura) determina la produzione di molecole quali Adiponectina e Leptina oltre che di prodotti di glicazione avanzata (AGE). La combinazione di queste molecole comporta un aumento dell’infiltrato proinfiammatorio macrofagico, aumento della produzione di citochine proinfiammatorie (IL-6, TNF-α , IL-18) e un aumento dei fenomeni di Apoptosi da infiammazione di adipociti. Questo risulta in uno stato infiammatorio che è peggiorato certamente dall’insulinoresistenza.

Schema generale di come il tessuto adiposo influenza l’insorgenza dello stato infiammatorio cronico di basso grado. Fonte: www.elsevier.es/en-revista-cirugia-cirujanos-english-edition–237-articulo-low-grade-systemic-inflammation-development-metabolic-S2444050715001357

Pilastri della dieta nell’infiammazione cronica: Omega-3, Polifenoli, Fibre

Acidi Grassi

Gli acidi grassi omega-3 (PUFA n-3 – Polyunsatured Fatty Acid) sono ormai ben noti per le loro proprietà antinfiammatorie dovute principalmente alla modulazione della sintesi di mediatori pro-infiammatori generalmente invece derivati, ad esempio, dagli acidi grassi omega-6. Parliamo degli eicosanoidi quali le prostaglandine e i leucotrieni (Ref). Altri effetti degli omega-3 sono però dovuti anche alla modulazione dei meccanismi di segnalazione intracellulare e nella modulazione dell’espressione genica. Gli omega-3 come sappiamo sono molto abbondanti nel pesce grasso (ad esempio salmone e sardine) oltre che nei semi di lino e hanno mostrato un’efficacia notevole nella gestione delle malattie infiammatorie croniche, tra cui l’artrite reumatoide (Ref) e la sindrome metabolica (Ref). Oltre a queste condizioni patologiche l’assunzione di adeguate quantità di omega-3 è particolarmente importante in alcune patologie neurologiche quali la depressione e il declino cognitivo.
In questo studio un campione di 165 pazienti affetti da depressione da lieve a moderata hanno ricevuto integrazione di omega-3 in aggiunta ad un antidepressivo o a una combinazione di antidepressivi. Lo studio conclude che la combinazione di acidi grassi omega-3 in aggiunta all’antidepressivo ha migliorato in maniera statisticamente significativa la depressione rispetto all’integratore o all’antidepressivo assunti da soli. Sembra che gli omega-3 possano condurre anche a possibili benefici nella prevenzione della demenza senile (Ref). Inoltre, l’uso di integratori di olio di pesce è stato associato a una modulazione favorevole dell’asse intestino-cervello, influenzando positivamente il benessere mentale e riducendo i sintomi di ansia e depressione.

Tra gli omega-3 troviamo EPA (Acido Eicosapentaenoico) e DHA (Acido Docosaesaenoico) ma anche l’ALA (Acido Alfa-Linolenico).
Le fonti alimentari principali di omega-3 sono i pesci dei mari freddi, noci, semi oleosi e le alghe.
Tra gli omega-6 troviamo l’Acido Linoleico e l’Acido Arachidonico precursore delle Prostaglandine.
Le fonti alimentari principali di omega-6 sono invece i semi oleosi, cereali e pseudo cerali, legumi.

La quantità di omega-3 assunti nella dieta non è però certamente l’unico parametro fondamentale nel controllo dell’infiammazione. Gli acidi grassi omega-6 hanno un ruolo importante in questo processo. Il rapporto tra i grassi polinsaturi omega-3 e omega-6 ha un ruolo importante nel mantenimento dell’infiammazione. Più che l’attenzione al valore assoluto degli omega-3 e omega-6 è molto importante infatti considerare il loro rapporto. Il rapporto omega-3 e omega-6 dovrebbe essere intorno a 1:3, 1:4 considerando che, in realtà normalmente questo rapporto è altamente squilibrato a favore degli omega-6 (anche in misura di 10:1 e oltre). Questo squilibrio è dovuto all’aumentato consumo di prodotti industrializzati e di oli vegetali molto presenti nei prodotti industriali in quanto conferiscono sapidità, sapore e volume agli alimenti.

Il riequilibrio del rapporto omega-3 e omega-6 a favore di un miglioramento del quadro infiammatorio dovrebbe essere attuato limitando il consumo di alimenti ricchi in omega-6 (tramite educazione alimentare al paziente finalizzata ad apprendere la lettura delle etichette nutrizionali) oppure tramite un aumento del consumo di alimenti contenenti omega-3. Questi alimenti però, come noto, sono rappresentati soprattutto dal pesce azzurro che è un alimento in generale abbastanza costoso, non facile da cucinare ne da reperire, generalmente poco consumato a favore di carne e anche facilmente deteriorabile. L’integrazione di omega-3 è comunque una strada praticabile in particolari condizioni cliniche di accertata carenza.

Tra i grassi monoinsaturi l’acido oleico contenuto nell’olio extravergine di oliva (ma anche in frutta secca e avocado) è quello con maggiori proprietà antinfiammatorie, così come gli EPA e DHA tra i Polinsaturi. Tra i grassi saturi l’acido butirrico ha un ruolo protettivo per la flora intestinale direttamente collegata allo stato infiammatorio. Questo sta ad indicare che alimenti come burro ghee, burro di montagna, grassi derivanti da allevamenti non intensivi oppure olio di cocco inseriti in un contesto alimentare attentamente “pensato” e funzionale alle esigenze del paziente possono avere un ruolo tutt’altro che negativo anche in un regime dietetico controllato soprattutto nella selezione di ceppi batterici benefici all’interno del microbiota intestinale. Ovviamente l’eccesso di grassi saturi altamente processati di provenienza industriale è, al contrario, particolarmente sconsigliato.

In caso di dieta vegetariana, o ancora di più, vegana l’apporto di EPA e DHA è sicuramente penalizzato. In tal caso è importante integrarli con altre fonti di omega-3 vegetali come l’olio di semi di lino (da conservare a temperature basse di frigorifero), semi di lino, semi di chia e frutta secca (in modeste quantità). Le linee guida italiane raccomandano un apporto di EPA+DHA pari a 250 mg al giorno con rapporto EPA/DHA di 2,5 / 1.

Polifenoli

I polifenoli sono composti bioattivi presenti in una vasta gamma di alimenti vegetali, inclusi frutta, verdura, thè verde e spezie come la curcuma. Essi esercitano effetti antinfiammatori riducendo lo stress ossidativo e modulando le vie di segnalazione delle citochine pro-infiammatorie. I pathways con cui i polifenoli agiscono nella riduzione dell’infiammazione sistemica sono diversi. Agiscono come chelanti degli ioni metallici, come “radical escavenger” ossia sostanze che ostacolano l’azione dei radicali liberi, oltre che come molecole inibitori di alcuni enzimi che favoriscono la produzione di ROS (Ref).

La curcumina, il principale principio attivo della curcuma, è uno dei polifenoli più studiati per i suoi effetti antinfiammatori, con numerosi studi clinici che evidenziano il suo potenziale nel migliorare i sintomi di pazienti affetti da patologie infiammatorie croniche. Un altro polifenolo di grande interesse è il resveratrolo, presente principalmente nella buccia dell’uva rossa e nel vino rosso, molto noto per le sue proprietà cardioprotettive e antinfiammatorie anche se fortemente limitato dalla scarsa biodisponibilità dovuta ad un’ampia degradazione al primo passaggio epatico ed intestinale.

Anche i flavonoidi, come quelli presenti nel thè verde e nei frutti di bosco, hanno dimostrato in piccole dosi di avere un effetto positivo nella modulazione dell’infiammazione cronica. La loro capacità di neutralizzare i radicali liberi e di modulare la risposta immunitaria li rende un elemento importante nella gestione del rischio di malattie croniche legate all’infiammazione.

Fibre e Microbiota

Le fibre alimentari sono una componente altrettanto importante nel contesto di una dieta volta a contrastare l’infiammazione sistemica perchè sono in grado di modulare la composizione del microbiota intestinale grazie alla capacità di essere fermentate dai batteri intestinali e dare luogo alla produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA), come l’Acido Butirrico, che possiedono potenti proprietà antinfiammatorie e protettive. Un microbiota equilibrato contribuisce a mantenere l’omeostasi immunitaria e a ridurre il rischio di sviluppare malattie infiammatorie croniche. In particolare, le fibre solubili, presenti in alimenti quali avena, legumi e frutta, sono particolarmente efficaci nel promuovere la salute intestinale e nella modulazione della risposta infiammatoria. Le fibre alimentari non solo migliorano la salute intestinale, ma possono anche contribuire a modulare la risposta metabolica dell’organismo. Alcuni studi suggeriscono che una dieta ricca di fibre possa migliorare la sensibilità all’insulina e ridurre l’infiammazione in soggetti con sindrome metabolica e diabete di tipo 2. In questo contesto, la fermentazione delle fibre da parte del microbiota intestinale e la conseguente produzione di SCFA sono fondamentali per esercitare un effetto antinfiammatorio sia a livello locale (intestinale) che sistemico.

Marcatori di Infiammazione: quali?

Prima di citare i più comuni esami di laboratorio che possono aiutare il medico a formulare ipotesi circa la presenza di uno stato infiammatorio sistemico generalizzato è opportuno ricordare che non tutti i marcatori ematici sono affidabili e sensibili allo stesso modo.
Tra i marker più utilizzati in termini di valutazione dello stato infiammatorio troviamo sicuramente la Proteina C-Reattiva (PCR), la Velocità di Eritrosedimentazione (VES), la Ferritina, Citochine proinfiammatorie (es. IL-6 e TNF-α) oppure, più in generale, il “semplice” Emocromo.

La Proteina C-Reattiva è prodotta dal fegato e i suoi livelli possono aumentare (anche in maniera importante) durante uno stato infiammatorio ad esempio di natura reumatologica ma anche in situazioni cliniche acute come infezioni batteriche o traumi. E’ un marcatore che si attiva molto rapidamente in seguito ad un’infiammazione. E’ un marcatore comunque aspecifico nel senso che non ci indica in quale organo è localizzata l’infiammazione ed è molto utile soprattutto nel valutare l’efficacia di una terapia farmacologica antinfiammatoria.

La Velocità di Eritrosedimentazione (VES) è un indicatore che esprime la velocità con cui i globuli rossi presenti nel sangue sedimentano sul fondo della provetta (espressa in millimetri di sedimento prodotto in 1h). Come tutti gli esami del sangue anche la VES va interpretata (dal medico) in un contesto clinico e anamnestico più ampio mettendo in relazione il valore di VES riscontrato anche con altri esami effettuati. Il valore della VES da sola, infatti, non dice molto.

La Ferritina è una proteina rilasciata in risposta ad aumentate concentrazioni di ferro comportandosi come una vera e propria riserva di questo minerale. Una iperferittinemia moderata può indicare uno stato infiammatorio acuto o cronico o su base dismetabolica mentre aumenti più significativi possono significare disturbi del fegato oppure emocromatosi.

Anche il semplice emocromo però può dare delle indicazioni sullo stato infiammatorio generale così come il dosaggio di alcune specifiche citochine quali IL-6 e TNF-α che però rappresentano analisi particolarmente costose e di nicchia che non vengono certamente eseguite in un contesto clinico routinario.

Considerazioni Generali

Il rapporto tra Alimentazione e Infiammazione Cronica è molto complesso e articolato. Non esiste, di fatto, una vera e propria “dieta antinfiammatoria” che per definizione elimina lo stato infiammatorio nei soggetti che la praticano.
Piuttosto, tirando le somme di quanto detto fino qui, emerge che la vera dieta antinfiammatoria è, di fatto, la classica dieta mediterranea soprattutto visti gli alimenti che hanno un maggiore potere antinfiammatorio in generale. Un piano nutrizionale antinfiammatorio pertanto deve essere certamente altamente personalizzato in base alle caratteristiche specifiche del singolo individuo come d’altronde accade per ogni altra condizione clinica. Nelle persone con diabete di tipo 2 o sindrome metabolica, come sappiamo bene, è cruciale limitare l’assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico facendo attenzione anche all’indice insulinico degli alimenti e cercando di trovare un equilibrio tra privazioni alimentari e sostenibilità a lungo termine della dieta. Contestualmente, è importante incrementare l’assunzione di fibre e alimenti con potere antiossidante per modulare la risposta infiammatoria in modo più efficace e veloce possibile.

Probabilmente ad oggi la nutrigenetica e la nutrigenomica stanno aprendo nuove frontiere nella personalizzazione della dieta anche in senso “antinfiammatorio”. Ad esempio, alcuni individui possono essere portatori di varianti genetiche che influenzano il metabolismo degli acidi grassi o la risposta agli antiossidanti. La conoscenza di queste varianti potrà potenzialmente guidare la scelta di alimenti specifici e l’eventuale utilizzo molto mirato dell’integrazione ove necessaria per massimizzare l’efficacia dell’approccio dietetico.

Inutile dire, ovviamente che oltre alla dieta, numerosi altri fattori dello stile di vita giocano un ruolo fondamentale nella modulazione dell’infiammazione. L’attività fisica regolare è uno delle condizioni che più di tantissime altre contribuisce a migliorare l’insulino-sensibilità e quindi a migliorare in generale anche lo stato infiammatorio di basso grado. Parallelamente anche una buona qualità del sonno e una gestione efficace dello stress sono elementi cruciali per mantenere l’equilibrio del sistema immunitario e quindi per minimizzare l’infiammazione cronica. In questo contesto il nostro ruolo di nutrizionisti è principalmente quello di educare e supportare i pazienti in una gestione integrata dello stile di vita oltre che della dieta, che includa si la nutrizione come elemento centrale per la promozione della salute antinfiammatoria ma anche tutto il resto. A proposito di stili di vita anche tecniche di rilassamento come Mindfullness in alcuni casi possono ridurre i livelli di citochine infiammatorie, migliorando la resilienza allo stress e favorendo il benessere mentale.

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